sabato 19 gennaio 2013

DODICESIMA PUNTATA

SI, MA VERDI E' UN'ALTRA COSA...

“Hai presente quelle cose che mai avresti pensato di di fare nella vita? Ecco, io mai avrei pensato di andar due volte a Cankarjev Dom nel giro di un mese. Costruito in epoca yugoslava (si vede) nel cuore di Lubiana, a due passi dal Parlamento, la “Casa di Ivan Cankar” è il più grosso centro culturale e congressuale sloveno. Più che per il posto, per gli avvenimenti cui ho partecipato, ovviamente. Di che si tratta? Indovina...

Lavi i piatti, in cucina, in sottofondo la favella slava delle coinquiline che chiacchierano tra loro. Sguardo interrogativo, traduzione immediata: “I am inviting her to go to Opera on Friday: I got two free tickets, all my friends are already going, I am inviting her, but she is sick... It is a very big event: Wagner. It hasn't been played for 30 years in Slovenia: we don't have a theatre big enough; to play Wagner is necessary a big orchestra, you know....”. “Well... yes...” annuisci, da esperto consumato...”What do they play?” chiedi. “The flying Dutch”. “Oh! Nice...”, altra espressione intelligente bluffatissima. “Indeed”, ti viene risposto.

Pochi giorni dopo, quando è chiaro che l'influenza ha avuto la meglio sulla coinquilina, accade l'imprevedibile. “Antonio, do you want to come to Opera?”. “Ehm...if you don't find anyone else...Look: it can be embarassing for you, I am not a big expert....You know I have been twice to theatre: to see a concert of Morricone and the “Swan lake” of Tchaikovsky...”. Sorride bonariamente capendo che, in effetti, non ci capisci un cazzo per davvero. 

L'idea comincia a piacerti, ne parli anche su Skype con gli amici. “Giusé, sai, vado a vedere l'Opera con una mia coinquilina che è musicologa...già mi vedo quando i suoi amici mi chiederanno qualcosa...” “Che ti frega...tu guardali con aria di sufficienza e digli “Si, ma Verdi è un'altra cosa...” e te ne vai. Si fa così”. Brillante.

L'indomani inizia nel migliore dei modi: una chiamata dal Portogallo da parte di SALTO ti annuncia di essere stato pre-selezionato per facilitare un training sull'inclusione sociale dei giovani con disabilità, organizzato da SALTO e dall'Agenzia Nazionale Giovani Portoghese. Non credi alle tue orecchie. Pochi istanti prima di uscire, un'email ti conferma di essere stato preso. Senza nemmeno aver tempo per gioire, ti ritrovi nel parterre, in orrima posizione. Senti dei suoni che arrivano dal basso: i musicisti stanno accordando gli strumenti. Capisci al volo – con sorpresa – che l'orchestra non si vedrà, immagini che sul palco di fronte a te arriveranno gli attori. Capisci anche che gli attori d'Opera cantano e recitano allo stesso tempo. Progressi da gigante.

A un tratto cala il silenzio, arriva un ometto vestito di bianco, che ricorda vagamente Donadoni. E' il direttore d'orchestra: applausi, inchino, si gira e si parte. Un faro gli illuminerà la chierica, tra i riccioli neri. Parte la musica, accompagnata da immagini proiettate su teli trasparenti – che verranno via via rimossi. L'atmosfera è semplice: le immagini sono in bianco e nero su sfondo scuro; il resto è bianco (a terra c'è del sale, mentre una carcassa di un dinosauro – il vascello fantasma – un lampadario e alcuni filari rimangono sospesi o fanno su e giù, a seconda della necessità). Nonostante i sottotitoli sloveni e l'Opera tedesca, non è noioso. La conoscenza della trama (studiata fugacemente il giorno prima, assieme alle biografie di Wagner e Verdi) si è rivelata fondamentale. L'attrice che interpreta Senta ti pare davvero brava. L'unica cosa che ti sfugge è perché vi siano due televisioni con le immagini del direttore d'orchestra piazzate alle spalle del pubblico. Lentamente capirai che anche gli attori seguono i dettami di Donadoni: le televisioni servono a loro, ti verrà detto poi.

L'assetto di Cankarjev Dom è molto diverso da “L'atleta sloveno dell'anno”, che hai seguito a dicembre alcune poltrone più indietro (arrivando in ritardissimo, sudato e di corsa, assieme alle guardie del corpo del Presidente della Repubblica uscente), dopo essere stato sorprendentemente e casualmente invitato via email il giorno prima. Allora, la scenografia era molto più dinamica e colorata. Fu interessante stringere la mano al segretario generale del Comitato Olimpico Sloveno (circondato da medaglie olimpiche, campioni e glorie dello sport sloveno, presente e passato – molte delle quali - ovviamente - sconosciute) in qualità di CEO dell'International Institute for Sustainable Development, Policy and Diplomacy of Sport (un think tank giovane, dinamico, abbastanza piccolo ma con tanta voglia di fare e ambizioni amplissime). Il boss ti stima e, anche se ogni tanto si perde dietro i voli pindarici che il suo essere filosofo gli impone, ha agganci ovunque, come capisci mentre stringi mani importanti, a destra e manca, durante il buffet.

Nel frattempo è arrivata la pausa, chiacchieri con alcune musicologhe: sono esperte e gentili, non te la senti di uscirtene con Verdi. Rientri per il terzo atto, in un attimo siamo agli applausi. Sorridi quando “Santa” si prende la standing ovation più consistente. “Next time I want to see Verdi” dici alla coinquilina che sorride, forse pensando che sta creando un mostro, rientrando verso casa.

E' stato bello, pensi, anche se ti è rimasto un rammarico piccolo piccolo. Che svanisce però quando entri su Facebook e trovi un commento di una cara amica lituana, che probabilmente se ne intende per davvero: “Wagner è il migliore!”, ti dice. “Si, ma Verdi è un'altra cosa...”. Sorridi di gusto, via ad aggiornare il blog!

martedì 15 gennaio 2013

UNDICESIMA PUNTATA

UNDICESIMA PUNTATA ...MAMMA CHISSA' SE VALEVA LA PENA, FARE TANTA STRADA E ARRIVARE QUA...

Chi lo sa, forse sono rincorbellito del tutto, o forse sono felice…a parte quella specie di ovo sodo dentro, che non va né in su né in giù…
Sguardo basso, occhi tristi e un sacchetto con ciò che era rimasto a casa sua. Due paia di jeans, due magliette, guanti, un po' di pasta, sapone, shampoo e schiuma da barba sono il residuo di quattro anni. Abraccio, un bacino che non riesci a trattenere. Poi tre passi avanti, uno sguardo indietro, poi di nuovo tre avanti, poi pausa, passo indietro. Anzi no, dietro front, si prosegue. Pausa, e via fino allo stop. La decisione di vederla partire, salutarla, forse per l'ultima volta, con la manina. E puntare verso la casa nuova, che è dall'altra parte del centro.
...So, so you think you can tell Heaven from Hell, blue skies from pain. Can you tell a green field from a cold steel rail? A smile from a veil? Do you think you can tell?...
Per le strade – qua e là – incroci studenti in cerca di svago, alcune coppiette che passeggiano e qualche crocchio di amici che chiacchierano. Cerchi i loro volti, ma poi lo sguardo si abbassa pesante verso il suolo innevato. L'unico abbozzo di sorriso sta nei i pupazzi di neve che, di tanto in tanto, salutano il tuo passaggio. Pensi a cosa sia la dignità, a cosa vuol dire essere Uomo. A come sia difficile crescere, a volte.
...And did they get you trade your heroes for ghosts? Hot ashes for trees? Hot air for a cool breeze? Cold comfort for change? And did you exchange a walk on part in the war for a lead role in a cage?...
E ripensi a quando salisti su quell'aereo per Vilnius, carico di energia, di ottimismo e di entusiasmo. Curioso della vita, confidente nel futuro. Ti chiedi cosa ti direbbe oggi quel ragazzotto se ti vedesse così. Se sapesse che cosa sarebbe successo dopo. Con gli occhi umidi, ripensi al tuo allenatore degli allievi regionali, ai suoi suggerimenti e a quel “ci vuole personalità!” che ti ripeteva con bonaria insistenza.
...How I wish, how I wish you were here. We're just two lost souls swimming in a fish bowl, year after year, running over the same old ground.
E ripensi alla serata, alla cena, al confronto, anche maturo. Quante cose vorresti dire, quante cose vorresti dirle. Ma infondo, che senso ha? Che importa? A che pro? Ti ritorna in mente quel “Enjoy Slovenia” che ti  ha abbozzato tra le lacrime prima di sedersi alla guida e andar via. Davvero mai avresti immaginato che sarebbe finita così. La realtà batte la finzione, la realtà batte il sogno. Come sono lunghe le strade di Lubiana, com'è grande il centro quando non vorresti attraversarlo.
...What have we found? The same old fears, wish you were here...
Questa è una di quelle notti che vorresti non finissero mai. Una di quelle notti che ti fa sentire vivo. Una di quelle notti in cui ti domandi se poi, alla fine, vale davvero la pena di continuare a inseguire i sogni, di ingoiare bocconi amari, di continuare a illuderti che il futoro sarà migliore. Chiedersi dove si sbaglia, perché la vita non è come si sperava che fosse. Non capire niente di niente. Perché il mondo non va come avrebbe dovuto. Forse bisogna solo accontentarsi. O forse il tempo dei sogni è finito, a trent'anni suonati. Ecco il portone, finalmente a casa, che voglia di dormire...